È difficile definire cosa sia il buddhismo perché in effetti non è una religione ma più che altro un modo per approcciarsi alla vita. Il buddhismo non ha un vero e proprio sistema di credenze che lo compone, non ha dottrine e dogmi da accettare. Può essere definito invece come un insieme di consigli e insegnamenti da capire prima di accettare, una sorta di filosofia.
Quando e dove nacque il buddhismo
Il buddhismo nacque e si diffuse per la prima volta in India, intorno al VI a.C. In questo periodo l’uomo cominciò a interrogarsi sui grandi misteri della vita. La nascita, la morte, il bene, il male, il modo di relazionarsi con gli altri, la realtà, etc. sono tutti aspetti che avevano bisogno di essere analizzati.
Per quanto riguarda le testimonianze storiche riguardanti il Buddha e la sua vita esse sono molto scarse e in generale poco affidabili.
Chi ha fondato il buddhismo?
Risalire a chi effettivamente fondò il buddhismo è molto difficile. Si pensa che questa persona fosse nativa del Nepal meridionale e vivesse a Lumbini intorno al 565 a.C.
Il buddhismo si basa, come si intuisce dal nome, sulla vita e gli insegnamenti del Buddha. Questo nome sta a indicare una persona che ha raggiunto il massimo grado di illuminazione.
Prima di diventare Buddha, il nome del fondatore del buddhismo era Siddartha Gautama ed era un principe.
Si narra che un giorno Siddartha incontrò un malato, un morto e un vecchio e ne rimase molto colpito, tanto da abbandonare casa e famiglia per prendersi un periodo dedicato esclusivamente alla riflessione e alla meditazione.
Avendo abbandonato tutto, anche i propri averi, passò quegli anni in estrema povertà patendo fame, sete e freddo. Questo gli fece capire che questi bisogni intrinsechi dell’uomo lo distoglievano dalla sua meditazione cui si voleva dedicare. Capisce che nella vita bisogna scendere a compromessi per viverla in maniera equilibrata.
Dopo anni e anni di meditazione Siddartha Gautama afferma di aver scoperto il vero significato della vita, di avere avuto l’illuminazione e aver raggiunto un nuovo stato di consapevolezza.
In molti lo ascoltano e ne accettano gli insegnamenti: Siddartha diventa il Buddha.
Perché il buddhismo non è una religione?
Il buddhismo non è una religione, non ha né dogmi né dottrine da seguire, non testi sacri tanto meno un ordine clericale.
Non essendo una religione il buddhismo non entra apertamente in contrasto con altri credi quali cristianesimo, Islam o ebraismo.
Gli insegnamenti del buddhismo sono così universali che addirittura un prete confidò al famoso monaco buddhista Thích Nhất Hạnh che il buddhismo lo avesse aiutato a diventare un cristiano migliore.
Nel buddhismo non vi è un ordine clericale, anzi, l’idea stessa di clero è contraria agli insegnamenti del Buddha. È il Buddha stesso che afferma:
“Se incontri il Buddha sulla tua strada uccidilo”
Questa provocazione nasce dal fatto che quello che il buddhismo consiglia non è seguire dei dogmi e lasciarsi indottrinare ma percepire l’universo senza preconcetti e verificare ogni insegnamento in prima persona.
La cosa migliore è non fidarsi di insegnamenti ricevuti in modo asettico. Credere e seguire dettami non verificati di persona significa lasciarsi influenzare in maniera negativa. Questi dogmi, questi insegnamenti così ricevuti diverranno prima o poi ostacoli per la realizzazione di se stessi.
Il buddhismo non ha testi sacri
Una delle caratteristiche principali del buddhismo è che esso non ha testi sacri come la Bibbia o il Corano. Questa filosofia viene tramandata principalmente in modo orale e si avvale di testi scritti come supporto su cui trascrivere alcuni dei più importanti insegnamenti cui si è arrivati nel corso degli anni.
Gli insegnamenti del Buddha e dei grandi monaci buddhisti possono aiutare a intraprendere il giusto cammino ma non si raggiungerà mai l’illuminazione unicamente seguendo quello che altri dicono.
Buddha afferma:
“…non credete in me perché altri lo fanno, non credete in me perché lo avete letto in un libro. Non affidate la vostra fede a dei racconti,a delle dicerie o all’autorità di leader o testi religiosi. Non fate affidamento solamente sulla logica, sulle deduzioni, sulle apparenze o sulle speculazioni.”
Quindi il Buddha consiglia di fare esperienza diretta delle cose e non seguire aridamente dei dettami filosofici.
Citando e parafrasando una celebre frase buddhista, non bisogna guardare il dito che indica la Luna, ma la Luna stessa.
Questa frase consiglia di focalizzarsi non su cosa e come si dice ma sul concetto che si vuole esprimere. Bisogna fare esperienza diretta della Verità senza delegarne a nessuno l’interpretazione in quanto la Verità non ha bisogno di essere interpretata, va solo vissuta.
Essere consapevoli della realtà che ci circonda
Uno dei concetti cardini su cui si basa il buddhismo è la consapevolezza. Essere consapevoli significa apprezzare meglio la vita e porre fine alle sofferenze.
Una similitudine che ricorre spesso nel buddhismo è quella che paragona la vita e l’esistenza al corso di un fiume in costante movimento.
Normalmente quando vediamo un corso d’acqua lo percepiamo come un’unica entità ma in realtà è composto da singole gocce. Ecco la nostra esistenza è come una goccia. Facciamo parte di un flusso vitale molto più grande di noi che ci trascende. Come ogni goccia racchiude dentro sé il fiume e può identificata con esso così ogni persona fa parte del flusso vitale.
Non siamo singole gocce d’acqua separate, non siamo entità separate e non siamo poi così diversi gli uni dagli altri. In un fiume non ci sono singole gocce d’acqua, c’è solo il fiume nella sua totalità e così avviene per l’esistenza.
Secondo il buddhismo non esistiamo in quanto di entità separate, non esiste una songola coscienza, una singola esperienza. Esiste la Coscienza, esiste l’Esperienza intese come entità sovraindividuali.
Non esistono tanti Io separati, esiste un unico Io universale e non individuale.
Come essere felici e smettere di soffrire
Una volta capito che facciamo parte di qualcosa di più grande e sostanzialmente indipendente da noi e da come agiamo smettiamo di soffrire.
Secondo il buddhismo possiamo ricondurre ogni singola paura, ogni problema e ogni sofferenza al fatto che crediamo di esistere come individui distaccati dal resto della realtà. Crediamo e cerchiamo di proteggere noi stessi e la nostra individualità e questo ci porta a essere in guerra con il mondo. In realtà così facendo cerchiamo solo di proteggere qualcosa che non esiste.
L’illuminazione del Buddha
Siddartha afferma che un giorno ebbe un’illuminazione, gli fu improvvisamente chiaro il quadro generale dell’esistenza.
“Proprio come un uomo sussulta terrorizzato quando calpesta un serpente ma ride di sé quando si rende conto che è solo una fune così un giorno ho scoperto che ciò che chiamavo io non poteva essere trovato e tutte le mie paure scomparirono insieme al mio errore.”
Capire che l’Io non esiste è un compito molto difficile. Per farlo dobbiamo prendere coscienza della differenza che esiste tra i concetti che abbiamo che riguardano della realtà e la realtà stessa.
“Il giorno in cui insegniamo a un bambino la parola cane non vedrà più il cane.“
Allo stesso modo l’Io non è altro che un concetto, una definizione, un pensiero che ci impedisce di vedere la realtà per come veramente è.
Quello che per noi è l’Io, la nostra identità, non è altro che un insieme di idee e pensieri. Quando smetteremo di sovrapporre i nostri concetti alla realtà l’Io non avrà più senso, anche se continueremo ad avere sensazioni e pensieri individuali.
Capire che si è parte di qualcosa di più grande significa dire addio alle preoccupazioni e alla continua lotta contro il mondo. Ci sarà soltanto calma e assenza di paure.
Dopo questa illuminazione si avrà un totale cambiamento della propria vita. Si avvertirà il fatto che i nostri pensieri e le nostre azioni stiano accadendo da sole. Faremo sempre delle scelte e prenderemo sempre delle decisioni ma non ci sarà più il nostro Io a dirigere il tutto. Ci comporteremo in base alle circostanze e faremo ciò che bisogna fare senza pensarci su, facendoci guidare dal flusso.
Diventeremo parte integrante della natura che realizza tutto senza fretta. Le nostre azioni non saranno più le nostre azioni ma saranno le azioni del grande flusso di cui facciamo parte, saranno una manifestazione del tutto.
La realtà è un’illusione…o forse no?
Una prima analisi di questo modo di vedere le cose potrebbe far sorgere l’idea che la realtà sia un’illusione ma non è così, la realtà non è un’illusione.
Per capire meglio questo concetto pensiamo a un libro. Cos’é un libro?
Un libro è un concetto. Un oggetto che chi lo ha scritto usa per dire quello che vuole dire. È al contempo un oggetto e un concetto.
Prova a immaginare quando il libro che stai leggendo è nato. È nato nel momento in cui l’autore ha partorito l’idea che ha poi trascritto o è nato nel momento in cui un albero è stato abbattuto per ricavarne la carta che lo compone?
Oppure prova a pensare agli eventi che hanno contribuito alla tua nascita. Esiste una serie quai infinita di eventi che si sono susseguiti che hanno fatto in modo che tu nascessi.
Non è possibile stabilire con precisione il singolo momento che ha generato un evento o un oggetto. Esiste un insieme di concause che hanno portato alla creazione di quel determinato evento o oggetto.
Per capire bene la realtà dobbiamo sia essere in grado di pensare e comunicare con gli altri attraverso concetti sia cercare di andare oltre a questi concetti che limitano la nostra visione complessiva. Dobbiamo diventare coscienti che ogni cosa è interconnessa e non esiste in maniera a se stante.
Dice il saggio:
“prima dell’illuminazione una montagna è una montagna. Durante l’illuminazione una montagna non è una montagna. Dopo l’illuminazione una montagna è di nuovo una montagna.”
Cos’è il Karma
Fa parte della filosofia buddhista anche il Karma.
Il termine Karma deriva dal sanscrito Kàrman ed è utilizzato in ambito filosofico e religioso. Il suo significato letterale è “azione”, “atto” ma anche “obbligo” e “compito”.
Diffuso principalmente nella cultura indiana e poi propagatosi in giro per il mondo, il significato di questo termine è stato distorto fino a che attualmente si tende a identificarlo con il principio di azione-reazione, che altro non sarebbe che il terzo principio della termodinamica. Così molti spiegano il karma in poche parole, anche se non è del tutto corretta come semplificazione.
Sebbene le analogie concettuali siano abbastanza marcate ridurre il concetto di Karma al concetto scientifico sopracitato è abbastanza riduttivo.
Per capire cosa sia veramente il Karma è necessario prima apprendere qualche concetto della cultura, o meglio della religione, nel cui ambito esso viene utilizzato.
I principii del buddhismo
Il buddhismo si basa su quattro insegnamenti cardine definite come le Quattro Nobili Verità.
Prima Nobile Verità: la verità della sofferenza
La Prima Nobile Verità afferma che la vita è caratterizzata dall’insoddisfazione e dalla sofferenza. Si patiscono la fame, la sete, le malattie, la vecchiaia e la morte. Si soffre quando si è lontani da ciò che si vuole, quando non si ottiene ciò che si vuole, quando si è in una situazione che non piace. Anche il momento stesso della nascita è un momento di sofferenza per la natura stessa del parto.
Cosa sono i Dukkha?
Tutti i tipi di sofferenza e di dolore che proviamo sono raggruppati in categorie chiamate Dukkha.
Dukkha è un parola di origine sanscrita che significa ruota mal funzionante. La similitudine è semplice da spiegare: come una ruota lesionata o rotta impedisce di fare un buon viaggio su un carro così le sofferenze impediscono di vivere bene la vita.
Ogniqualvolta che la ruota difettosa compie un giro fa sobbalzare il carro arrecando fastidio e dolore. Nelle stesso modo, nonostante i nostri sforzi per essere felici, ci sarà sempre qualcosa che ci continuerà a renderci infelici.
Le categorie di Dukkha sono tre:
- dolore fisico o mentale, sono dolori prettamente fisici come malattie, dolori dovuti alla vecchiaia. Sono anche dolori mentali causati dall’essere vicini a cose che non si desiderano e sofferenza generata dal cercare di allontanarsi da ciò che non si desidera;
- dolore per il cambiamento. La realtà è in costante mutamento ma noi non riusciamo ad adattarci a questo eterno divenire e questo ci causa sofferenza. Allo stesso modo ci causa sofferenza essere lontani da ciò che vogliamo e cercare di ottenerlo;
- dolore esistenziale. Questo dolore nasce dal fatto che non siamo in grado di rispondere alle domande più profonde che riguardano l’esistenza e il significato della vita. Da dove veniamo? Qual è il significato della vita? cosa succede dopo la morte? Sono tutte domande alle quali non siamo in grado di rispondere.
Seconda Nobile Verità: l’origine dell’insoddisfazione
La Seconda Nobile Verità individua l’origine della sofferenza e dell’insoddisfazione in noi stessi.
Siamo noi con i nostri desideri terreni e fisici che tendiamo verso qualcosa che non abbiamo, siamo noi che vogliamo che le cose siano diverse da come sono e per questo soffriamo.
Secondo il buddhismo sono tre le cause dell’insoddisfazione:
- desideri sensoriali. Questi brame possono essere sia fisiche che mentali. Desideriamo soddisfare i nostri bisogni fisici così come quelli mentali. Desideriamo mangiare come avere conversazioni interessanti, Desideriamo dare uno scopo alla nostra vita e provare sensazioni positive;
- desiderio di vivere per sempre. Non riusciamo ad accettare la morte e la fine dell’esistenza;
- desiderio di porre fine alle proprie sofferenze. Il fatto di provare insoddisfazione ci crea dolore e noi non vogliamo provare dolore. Questo causa ulteriore insoddisfazione e dolore in una sorta di circolo vizioso.
Terza Nobile Verità: come smettere di soffrire
La Terza Nobile Verità sostiene che per smettere di soffrire bisogna eliminare il desiderio, ogni tipo di desiderio sia esso fisico che psicologico. Per raggiungere l’Illuminazione è necessario privarsi anche del desiderio di raggiungere l’Illuminazione.
Bisogna anelare al Nirvana, ossia il totale abbandono del proprio Io e dei propri desideri. Smettere di credere di esistere in quanto individuo.
Per superare l’insoddisfazione dobbiamo smettere di combattere il momento presente desiderando che sia diverso da quello che già è. Il rifiuto e la negazione del presente deriva dal falso senso di individualità che ci contraddistingue.
Dobbiamo capire che il nostro senso di individualità e di essere separati dagli altri esseri viventi è falso. Dobbiamo essere coscienti della nostra profonda relazione con il resto del Tutto. Le nostre vite sono connesse le une alle altre, non siamo soli.
Quarta Nobile Verità: la via che porta alla cessazione della sofferenza
La Quarta Nobile Verità descrive invece un percorso da fare per giungere alla fine delle sofferenze e vivere una vita più armoniosa. Questa Verità viene anche chiamata il nobile ottuplice sentiero perché è composto da otto fasi da seguire:
- retta visione;
- retta intenzione;
- retta parola;
- retta azione;
- retta sussistenza;
- retto sforzo;
- retta presenza mentale;
- retta concentrazione.
Retta visione
La retta visione consiste nell’essere consapevoli che esiste un problema di fondo relativo all’esistenza. Significa prendere coscienza del fatto che la felicità non dipenda da un oggetto, da una frase o da un concetto significa trovare il segreto delle felicità.
Non si può realizzare il proprio completamento cercando qualcosa al di fuori di noi stessi. Per porre fine alla sofferenza dobbiamo cercare la risposta dentro di noi.
Retta intenzione
La retta intenzione è la volontà di vivere nel momento presente senza avere l’obiettivo di guadagnarci qualcosa.
Significa non cercare di dividere il momento presente in ciò che desideriamo e ciò che invece non vogliamo.
Nel momento in cui la nostra mente divide la realtà in ciò a cui tendiamo e in ciò da cui vogliamo allontanarci crea sofferenza.
Cercare di ottenere qualcosa o di allontanarsi da qualcosa significa soffrire.
Inoltre non bisogna dividere il tempo in passato e futuro, esiste solo il presente.
Questo non vuol dire essere passivi ma significa impiegare le proprie energie in maniera costruttiva e agire adesso in maniera positiva creando e non distruggendo.
Retta parola
Per retta parola si intende l’uso del linguaggio in maniera costruttiva. Bisogna essere coscienti dell’influenza che le nostre parole hanno su di noi e sugli altri. Significa parlare senza offendere e senza usare violenza verbale, ma anche parlare per comunicare un pensiero o un’opinione in maniera più armoniosa e rispettosa possibile.
Retta azione
Retta azione significa agire senza essere però dipendenti dal risultato delle nostre azioni. Ogni volta che cerchiamo di raggiungere un obiettivo in realtà stiamo cercando di rafforzare il nostro essere come individuo. Questo non fa altro che generare altra sofferenza.
Per retta azione si intende azione senza interferenza dell’Ego. Significa agire senza aver paura dei risultati delle nostre azioni, agire essendo consapevoli di essere tutt’uno con l’universo.
Retta sussistenza
La retta sussistenza riguarda il modo di guadagnarsi da vivere. Bisogna saper sopravvivere senza causare danno agli altri e senza tendere a guadagnare per soddisfare bisogni inutili e a volte costosi.
Spesso il nostro lavoro è causa di dolori e preoccupazioni non necessarie. Ci stressiamo in maniera inutile quando basterebbe trovare il coraggio di cambiare vita.
Retto sforzo
Retto sforzo significa concentrarsi su ciò che possiamo influenzare e smettere di cercare di controllare persone o avvenimenti sui quali non abbiamo nessun controllo.
Vuol dire anche immergersi nel presente senza opporre resistenza, fondersi con il momento corrente lasciandosi trascinare dalla corrente.
Il presente non è qualcosa che dobbiamo a tutti i costi controllare o cercare di indirizzare come meglio ci piace. È uno stato naturale dell’esistenza.
Nel momento in cui non accettiamo il presente e vogliamo che sia diverso generiamo sofferenza non solo perché non siamo soddisfatti da come stanno le cose ma anche perché cerchiamo di andare contro l’intero universo cercando di cambiare le cose.
Il momento presente non è altro che la direzione in cui l’esistenza scorre, proprio come il corso di un fiume. Cercare di andare controcorrente è uno sforzo che causa solo sofferenza.
Retta presenza mentale
Per capire cosa sia la retta presenza mentale vorrei ricorrere a un esempio chiarificatore.
Immagina di essere un astronauta bloccato sulla Luna perché la navicella ha smesso di funzionare.
Puoi vedere la Terra da dove ti trovi ma non puoi tornarci. Tutto quello che puoi fare in quel frangente è guardare la Terra desiderando di tornare a riabbracciare i tuoi cari.
Dopo un po’ di tempo riesci ad aggiustare la navicella e a ritornare sulla Terra. Ecco, adesso immagina a come ti sentirai, a come osserverai e apprezzerai tutto ciò che ti circonda. Immagina con che occhi guarderai un tramonto o assaporerai un gelato.
Secondo Thích Nhất Hạnh è così che dovremmo vivere, assaporando ogni istante e ogni aspetto della realtà percependone il valore intrinseco.
Retta concentrazione
La retta concentrazione è l’abilità di saper rimanere concentrati e focalizzare la propria attenzione su un singolo oggetto o concetto.
In conclusione: come abbandonare e superare il buddhismo
Un’aspetto molto interessante del buddhismo è che i suoi insegnamenti dicono che per essere felici bisogna saper andare oltre essi stessi. Bisogna andare oltre al buddhismo.
Il buddhismo non è altro che un mezzo come lo è una zattera che si usa per arrivare dall’altra parte del fiume. Nel momento in cui si giunge sull’altra sponda a zattera diventa inutile. Inutile è portarsela dietro sulla terraferma. Si lascia lì a disposizione di chi vorrà compiere lo stesso viaggio. Così è anche per gli insegnamenti del buddhismo.