La storia del toro di Falaride ci viene tramandata da Paolo Orosio, storico e apologeta di origini romane discepolo di Agostino d’Ippona.
Orosio ci racconta di un fatto successo presso la corte di Falaride, tiranno di Akragas, l’attuale Agrigento, nel V secolo prima della nascita di Cristo.
Secondo Poliene, retore macedone del II secolo dopo Cristo, Falaride era un esattore delle tasse che aveva finto di raccogliere fondi per la costruzione di un tempio dedicato a Zeus. In realtà con il denaro raccolto costruì una cittadella che poi occupò con un piccolo esercito.
In molti criticarono questo racconto e lo stesso Aristotele nutriva seri dubbi sulla sua autenticità tuttavia ci è utile per capire quale fosse la natura di Falaride e di come egli venisse percepito dal popolo.
Infatti il tiranno era noto per la sua crudeltà e la sua predisposizione alla violenza.
La triste storia di Perillo di Atene
Perillo di Atene era un fonditore di ottone. Egli, volendo far colpo su Falaride o magari soltanto per ricevere una ricompensa da lui, ideò uno strumento per giustiziare i criminali condannati a morte.
Il toro di Falaride
L’invenzione di Perillo consisteva in una fedele riproduzione in bronzo di un toro. La figura era cava al suo interno e consentiva l’alloggiamento di una persona che veniva inserita attraverso uno sportello situato sul dorso.
La tortura/esecuzione consisteva nell’inserire all’interno del toro il condannato a morte e poi accendere il fuoco al di sotto del ventre dell’animale metallico. In poco tempo il metallo diventava rovente e provocava la morte della persona all’interno dello strumento di tortura.
Un complesso sistema di tubi simile a un corno ripiegato su se stesso diverse volte e posto in corrispondenza della bocca del toro trasformava i lamenti del condannato a morte in versi simili a quelli che emette effettivamente l’animale. Inoltre all’interno del toro venivano inseriti aromi vari e spezie che servivano a coprire l’odore di carne bruciata che avrebbe suscitato con tutta probabilità il disgusto delle persone che assistevano all’esecuzione.
La fine dell’inventore
Si narra che Falaride rimase davvero colpito da questa invenzione e mostrò a Perillo il suo apprezzamento tramite molti complimenti.
Sotto la tirannide di Falaride le esecuzioni erano quasi all’ordine del giorno per cui nessuno si sorprese del fatto che il marchingegno di Perillo avesse riscosso tanto successo.
Era stato lo stesso fonditore di ottone a portare e a descrivere la sua invenzione alla corte del tiranno il quale dopo molti apprezzamenti all’opera realizzata volle una prova di come il sistema di tubi trasformasse i lamenti in muggiti e la pretese dallo stesso Perillo che avrebbe dovuto mettersi all’interno del toro.
Il fonditore allora si mise nel ventre dell’animale di bronzo per la prova che il tiranno richiedeva. Una volta che Perillo fu all’interno del toro, Falaride ordinò ai suoi soldati di chiudere lo sportello e accendere il fuoco.
Questo però segnò la fine del povero inventore. Il tiranno lo fece tirare fuori prima che passasse a miglior vita.
A questo punto Perillo pensò che venisse ricompensato per la sua invenzione ma così non fu. Venne giustiziato venendo buttato giù dalla cima di una rupe.
Si potrebbe parlare di karma e forse in questo caso non ci si sbaglierebbe. In effetti aver inventato un orribile strumento di dolore e morte, probabilmente per vantaggio personale, è abbastanza crudele. In molti pensano che il fonditore si sia meritato la fine che ha fatto.
Il karma pare abbia colpito lo stesso Falaride. Telemaco, tiranno che lo aveva spodestato, lo condannò a morte tramite il suddetto toro.
Versione alternativa e fine del toro di Falaride
Secondo una storia alternativa tratta da scritti greci riguardanti il tiranno Terone, successivo rispetto a Falaride e Telemaco, il finale fu diverso.
Pare infatti che lo stesso Falaride provò sdegno di fronte all’invenzione di Perillo e condannò quest’ultimo a morire utilizzando la sua invenzione. Dopo che la condanna venne eseguita il tiranno ordinò che il toro, che conteneva ancora il corpo del suo inventore, venisse buttato a largo del mare antistante ad Agrigento.