Che cos’è l’effetto placebo, uno dei misteri della medicina ancora non risolto

Significato della parola placebo

Il termine placebo non è altro la prima persona del futuro del verbo latino placeo che significa piacere. Il significato di questo nome è quindi “io piacerò”.

Partendo dall’analisi semantica della parola che definisce la terapia omonima si può facilmente intuire quale sia il significato di “effetto placebo“.

Che cos’è un placebo

In medicina si definisce placebo una terapia o una (o più) sostanze che non presentano alcun significativo principio attivo. Vale a dire che tutte le pratiche (siano esse massaggi, sollecitazioni, esercizi fisici, etc.) e le sostanze utilizzate (pillole, sciroppi, iniezioni etc.) non sono di alcuna utilità specifica per la trattazione della malattia o del malessere che si vuole curare.

Il miglioramento che prodotto dopo l’impiego di tali pratiche o sostanze si chiama “effetto placebo“.

Il principio dell’effetto placebo

Alla base dell’effetto placebo e della sua positiva attuazione sta la fiducia che il paziente ripone nel trattamento cui si sta sottoponendo. Se il paziente spera e pensa con convinzione che le sue condizioni di salute miglioreranno allora, con tutta probabilità, esse miglioreranno.

Una delle cose che più colpisce è che l’effetto placebo è una spiegazione scientifica a un evento di guarigione ma a sua volta non ha una spiegazione scientifica.

Fattori alla base dell’effetto placebo

Ad aumentare la potenza, se così si può dire, di tale effetto contribuiscono diversi fattori. Questi fattori vengono raggruppati sotto un unico termine: contesto psicosociale.

Il contesto psicosociale altro non è che l’insieme di tutti quei particolari, di quelle ‘cose’, che riescono ad accrescere la fiducia che una persona ripone nella terapia che sta seguendo.

E cosa contribuisce ad aumentare la fiducia di un paziente?

Un  contesto professionale di certo aumenta l’aspettativa di un paziente. La vista di macchinari più o meno complicati che siano, i camici bianchi dei medici, le parole rassicuranti di un medico, il tono stesso della voce del medico, l’aspetto dei medicinali, per quanto privi di principio attivo, che prende. In genere tutti quei comportamenti e tutti quegli ‘attrezzi di scena’ (passatemi il termine) che innalzano il livello di serietà della cura.

Come si studia l’effetto placebo?

L’effetto placebo è noto fin da tempi antichissimi. In tempi più recenti si è riuscito a isolare con il metodo del doppio ceco, ma solo negli ultimi anni se ne è fatto un oggetto di studio.

Per studiare gli effetti che ha sull’organismo semplicemente si sostituisce al trattamento medico consueto di un paziente un finto trattamento privo di principi attivi mantenendo però intatta la prassi con cui esso viene somministrato. Così facendo il paziente in questione non si rende conto che sta ricevendo una falsa terapia.

Principalmente gli studi si sono soffermati sull’effetto analgesico derivante da somministrazione di placebo.

Per capire cosa avviene all’interno del corpo e del cervello, oltre ai normali esami, si ricorre al monitoraggio delle diverse aree dell’encefalo. In questo modo le zone che vengono attivate durante le varie fasi di somministrazione ed effetto dei placebo vengono evidenziate.

La potenza dell’effetto placebo

Prima di proseguire nell’analisi di questo mistero che la scienza non può spiegare consentitemi di soffermarmi un momento sulla potenza dell’effetto placebo. Esso è talmente forte che per riuscire a ingannare le sue meccaniche non solo il paziente, ma anche il medico che somministra la cura deve essere allo scuro che quello che sta fornendo al paziente è un medicinale privo di principio attivo.

Per questo motivo, per valutare l’azione reale di un medicinale prima che esso venga immesso nel mercato si ricorre alla sperimentazione in doppio ceco, ovvero né i pazienti né i medici coinvolti sanno se quello che ricevono e somministrano è o meno un placebo.

Meccanismi dell’effetto placebo

I meccanismi con i quali si svolge e si attua l’effetto placebo sono principalmente due:

  • meccanismo inconscio;
  • meccanismo conscio.

Questi sono alla base di tutte le modificazioni che avvengono all’interno dell’organismo umano durante l’azione suggestiva di cui stiamo parlando.

Meccanismo inconscio

Questa meccanica di funzionamento, che è anche la più facile da gestire per tutta una serie di motivazioni che saranno chiarite più avanti, avviene nel campo dell’inconscio del paziente.

Per introdurre il funzionamento di tale fase penso sia utile citare, seppur en passant, gli studi condotti da Ivan Pavlov sul condizionamento classico.

Riassumendo i tratti utili alla mia spiegazione, Pavlov associava il meccanismo della condizionamento positivo su dei cani al suono di una campanella. Ogni volte che la campana veniva suonata veniva servito un pasto ai cani.

Normalmente la salivazione dei cani aumenta quando essi sono di fronte a del cibo. Nel momento in cui alla somministrazione dei pasti viene associato il suono della campanella in maniera ripetuta le meccaniche fisiologiche degli animali subiscono variazioni. Pavlov riuscì a far aumentare la salivazione dei cani senza che venisse loro servito alcun cibo, solo tramite l’ausilio del suono della campanella.

In questo caso si parla di stimolo condizionale. Togliendo il cibo dall’equazione campanella= cibo= più salivazione si ottiene campanella= più salivazione, detto in termini matematici.

Lo stimolo condizionale è a sua volta composto da due parti: lo stimolo condizionante (la campanella) e  il stimolo incondizionato (l’aumento di salivazione in vista del cibo).

Un meccanismo simile avviene quando si verifica l’effetto placebo.

Nel nostro caso lo stimolo condizionante è rappresentato dal contesto psicosociale mentre lo stimolo incondizionato è rappresentato dagli effetti propri del farmaco.

Il condizionamento classico di Pavlov

Per meglio capire quello che avviene ricorrerò a un banalissimo esempio: l’aspirina.

L’aspirina è un analgesico molto diffuso utilizzato per calmare i più svariati tipi di dolori dovuti a infiammazioni, influenza, etc. Alla vista è una pillola bianca e tonda.

In questo caso il contesto psicosociale è proprio la forma, la grandezza e il colore della pillola, ricordo che esso non ha nulla a che fare con il principio attivo presente all’interno del farmaco.

Lo stimolo incondizionato invece è l’effetto farmacologico della compressa.

Ogni volta che si assume un aspirina si ha come effetto una diminuzione del dolore. Reiterando questa routine si arriverà al punto in cui qualsiasi pillola bianca e tonda (che il paziente creda sia aspirina, ovviamente) avrà un effetto analgesico.

In questo caso il tutto avviene in maniera inconscia e automatica. Il tutto sfugge al pensiero conscio e alla ragione.

Affinché avvenga non è necessario ‘credere’, non è necessaria una determinata aspettativa. Esso è dovuto solo alla contiguità temporale di due eventi.

Meccanismo conscio

Il meccanismo conscio dell’effetto placebo può essere spiegato utilizzando diversi termini tutti aventi come soggetto il paziente.

Aspettativa di guarigione, fiducia nel medico e nella terapia, speranza, fede, etc.

Tutti questi termini possono essere riassunti con anticipazione di un beneficio. Il paziente si aspetta di migliorare, si aspetta di avere un beneficio dalla cura che sta seguendo e ‘anticipa’ l’effetto positivo aspettato.

Esistono diversi tipi di effetto placebo ed esso è presente in diversi ambiti con meccaniche differenti. Qui di seguito analizzerò i due campi secondo me più interessanti ed esemplificativi: la trattazione del dolore e il morbo di Parkinson.

L’effetto placebo nella trattazione del dolore

Il cervello umano è un ambiente ricco di reazioni chimiche. Ad ogni reazione chimica corrispondono diversi effetti sia neuronali che fisiologici.  Quando si verifica l’effetto placebo entrano in gioco queste sostanze.

I vari studi riguardanti la trattazione del dolore e l’effetto placebo hanno evidenziato due sostanze che giocano un ruolo fondamentale:

  • gli oppioidi endogeni;
  • la cck (colecistochinina).

Si tratta di due neuro trasmettitori entrambi attivati da suggestioni verbali e ambientali. Il primo è attivato da parole positive mentre l’altro è attivato da parole negative.

Gli oppioidi endogeni sono sostanze simili agli oppiacei però prodotti dal nostro organismo. Il più noto tra questi è l’endorfina, ossia l’equivalente di una morfina endogena, da cui il nome.

Somministrare placebo equivale a somministrare parole incoraggianti e suggestioni positive. Ossia aumentare quella che è l’aspettativa del paziente.

La sperimentazione ha anche evidenziato come sia possibile bloccare quelli l’azione dei placebo. Iniettando nel paziente una sostanza che inibisce i ricettori delle endorfine allora l’effetto placebo viene annullato. La sostanza in questione è il naxolone.

La cck (colecistochinina) ha l’effetto opposto a quella degli oppioidi endogeni. Mentre questi ultimi alleviano il dolore, la cck lo aumenta.

In questo caso si parla di effetto nocebo  che altro non è che l’altro lato della medaglia rispetto all’effetto placebo.

La colecistochinina è attivata da parole e suggestioni negative. Al paziente viene detto, per esempio, che assumendo quel determinato farmaco il suo dolore aumenterà.

In genere tutte quelle suggestioni che contribuiscono ad abbassare l’aspettativa di guarigione e inducono ansia nel paziente contribuiscono a generare iperalgesia ovvero aumento del dolore. Si ha quindi un effetto amplificante del dolore.

L’effetto nocebo si può bloccare utilizzando il proglumoide, che è un cck-antagonista.

L’effetto placebo e il morbo di Parkinson

Il dolore tuttavia non è una cosa speciale in cui avviene l’effetto placebo, esso si verifica in molti altri ambiti, uno dei quali è il morbo di Parkinson. Questa malattia ha tre sintomi principali che la contraddistinguono:

  • tremore;
  • rigidità muscolare;
  • bradicinesia, movimenti rallentati.

Giovanni Paolo II era affetto da Parkinson.

Mentre nella trattazione del dolore giocava un ruolo fondamentale la soggettività del paziente in quanto la natura stessa del dolore è soggettiva, nella terapia del morbo di Parkinson vi è una situazione oggettiva visibile e palese in quanto vi è un’alterazione motoria. Si parla di sintomatologia oggettivabile.

Nel momento in cui viene alzata l’aspettativa con stimolazione verbale positiva e gli viene somministrato un placebo il paziente si aspetta che la sua performance motoria migliori e con essa sia la sua velocità che la sua forza. E questo in effetti avverrà.

Dopo che vengono indirizzate suggestioni positive si assiste a un rilascio importante di dopamina. Inoltre si è visto come addirittura i singoli neuroni modifichino la loro attività durante queste suggestioni verbali.

Allora perché non si tratta il morbo di Parkinson con i placebo?

Ci sono due motivi principali che impediscono l’uso abituale del placebo ella trattazione del Parkinson.

Uno è l’impredicibilità. Purtroppo l’azione dell’effetto placebo non può essere predetta. Ci sono persone più sensibili a esso e persone meno sensibili. La sua azione inoltre varia a secondo dello stato d’animo del in quel determinato momento. Non è possibile dire quindi a priori se un paziente risponderà o meno alla terapia. Anche conoscendo bene la mente del paziente.

Un’altra problematica è la durata degli effetti, essi infatti durano poco e svaniscono dopo circa mezz’ora. Non si sa bene perché.

La trattazione del morbo con i farmaci specifici garantisce stabilità e durata dei risultati.